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Reddito di cittadinanza in scadenza per 635mila famiglie da qui a fine anno, oltre la metà degli attuali beneficiari. Il 30 settembre, infatti, finiscono i primi 18 mesi di applicazione della misura anti-povertà introdotta nel 2019 dal primo Governo Conte. Chi ha chiesto subito l’assegno, a marzo dell’anno scorso, e ha iniziato a incassarlo da aprile, vede scadere questo mese la prima tranche del beneficio (si tratta di 410mila famiglie). Chi ha iniziato a maggio terminerà a ottobre (altre 100mila famiglie) e così via.
Il reddito di cittadinanza scade per metà delle famiglie
Dopo un mese di pausa, nel quale il Reddito di cittadinanza dovrà essere nuovamente richiesto, se la famiglia ha ancora i requisiti necessari (primo fra tutti un Isee sotto 9.360 euro), la prestazione potrà riprendere per altri 18 mesi. L’unico cambiamento, rispetto alla prima fase, è che i componenti del nucleo in grado di lavorare dovranno accettare qualsiasi offerta di lavoro dovesse arrivare, in tutto il territorio nazionale, altrimenti la famiglia perderà il sussidio.
Una misura per due finalità
Il reddito di cittadinanza ha due facce: è un aiuto economico(che vale in media 562 euro a famiglia, ma sale in proporzione alla numerosità del nucleo) ed è (o dovrebbe essere) una misura di inclusione lavorativa e sociale. I beneficiari, salvo le eccezioni previste per legge, devono sottoscrivere un Patto per il lavoro con il centro per l’impiego, cioè un impegno ad attivarsi nella ricerca di un’occupazione. Mentre su eventuali bisogni della famiglia diversi dal lavoro, entrano in gioco i servizi sociali dei Comuni (o, nei casi più complessi – come il disagio psichico o le dipendenze – équipe multidisciplinari), con i quali i percettori del sussidio devono sottoscrivere un Patto per l’inclusione sociale.
Fatto sta che, a inizio settembre, in base alle comunicazioni obbligatorie arrivate al ministero del Lavoro, i beneficiari che avevano sottoscritto almeno un contratto di lavoro erano 196mila: un piccolo numero rispetto alla platea degli interessati.
Durante l’emergenza sanitaria legata al Covid, dal 17 marzo al 17 luglio, gli obblighi di seguire i percorsi di inclusione lavorativa e sociale per i percettori del reddito di cittadinanza sono stati sospesi (escluse le offerte di lavoro “congrue” nel Comune di appartenenza).
Sul fronte dell’inclusione sociale, «in questi mesi – fa sapere la Direzione generale per la lotta alla povertà e per la programmazione sociale del ministero del Lavoro – è proseguita la formazione degli operatori sul territorio per dare attuazione alla componente sociale del Rdc ed è stata resa operativa la piattaforma informatica Gepi (gestione patti per l’inclusione sociale), per semplificare il lavoro degli assistenti sociali nell’accompagnare i beneficiari del reddito di cittadinanza convocati dai servizi sociali dei Comuni».
Il bilancio economico
Da aprile 2019 ad agosto 2020 il reddito di cittadinanza ha raggiunto 1.168.364 famiglie, in pratica quasi tre milioni di persone. Sono quasi 136mila, invece, i nuclei beneficiari della pensione di cittadinanza (Pdc), che può essere richiesta sopra i 67 anni di età, se la famiglia ha un Isee sotto 9.360 euro e un reddito annuo entro 7.560 euro.
Da gennaio 2020 ad oggi il numero dei richiedenti è cresciuto del 25,8 per cento. Nel solo mese di agosto si sono aggiunti 37mila nuovi nuclei beneficiari. Ecco perché l’eventuale stop, anche solo se per un mese (salvo intoppi nei rinnovi), potrebbe diventare un problema per più della metà dei beneficiari. Secondo Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza contro la povertà, «in questa fase, come si fa a pensare di stare fermi un mese? L’assegno – ricorda – va anche a tanti senza dimora, soggetti in condizioni di estrema povertà e, spesso, di esclusione sociale. Abbiamo suggerito di prolungarne la durata a 22-24 mesi e presenteremo uno studio con proposte migliorative dello strumento».
Per reddito e pensione di cittadinanza sono stati spesi finora 8,5 miliardi (nel solo mese di agosto, 651 milioni) e la misura è finanziata fino al 2021.